La finestra sul romanzo
di Manuel Orazi
Il disegnatore italiano svela l’intimità di cinquanta viste dagli studi di scrittori d’ogni continente, da Al Aswany a Pamuk
Siccome gli uomini non sono monadi, per questo hanno bisogno di molte finestre. Ci scuserà Leibniz se forziamo il suo noto ragionamento, ma certo mai come oggi le finestre occupano la nostra vita dallo schermo del computer (magari con un sistema operativo Microsoft Windows) a quello dell’iPad, allo smartphone, finanche ai nuovi modelli digitali e interattivi di smartwatch e occhiali Google che ci dicono tutto e subito: fuso orario, umidità, se l’Udinese ha vinto, l’ultima dichiarazione di Putin e se domani c’è lo sciopero dei mezzi. Tutte metaforiche finestre sul mondo, plasmate a immagine e somiglianza di quelle tradizionali. Il grande architetto americano Robert Venturi, vent’anni or sono, ha scritto che la finestra è l’elemento architettonico decisivo per definire di primo acchito lo stile di un’epoca, di un singolo autore o di una regione (finestra barocca, a nastro lecorbusieriana, veneziana, ecc.). E giustamente Rem Koolhaas ha dedicato agli infissi una sala intera della sua mostra Elements alla Biennale di architettura ancora in corso a Venezia.
Quasi nessuno però si è soffermato sul verso più intimo delle finestre, quello interno, come invece fa Matteo Pericoli in Windows on the World: Fifty Writers, Fifty Views (Penguin Press, $ 18,33). Un libro dedicato alle finestre di cinquanta scrittori di ogni continente, appena uscito a quattro anni da The city Out My Window: 63 Views on New York (Simon & Schuster 2010, $ 31,44) che ritraeva piuttosto solo finestre di residenze illustri della Grande Mela, dove Pericoli ha vissuto e lavorato a lungo prima come architetto e poi come illustratore. Entrambi i libri consistono di disegni di finestre al tratto e in bianco e nero corredati da didascalie che diventano spesso brevi racconti dei proprietari. Scrive l’autore che è difficile prestare attenzione alle cose della nostra vita quotidiana se non quando le perdiamo. E la vista da una finestra, per quanto banale, è unica e insostituibile. In ogni caso, scrive ancora Pericoli, «sono arrivato a pensare che una finestra sia, in definitiva, più di un punto di contatto o di separazione con il mondo esterno. È anche una sorta di specchio che riflette le nostre occhiate all’interno, a ritroso sulle nostre stesse vite».
È una riflessione penetrante che accomuna anche i protagonisti di due grandi film della storia del cinema indissolubilmente legati a una finestra, anche perché entrambi costretti su una sedia a rotelle sebbene per motivi diversi: il dottor Pino Barillari de La lunga notte del ’43 che, osservando dagli scuri la noiosa routine del corso principale di Ferrara, esorcizza così la guerra e la malattia; o ancora La finestra sul cortile, il capolavoro di Hitchcock per cui sono state avanzate mille interpretazioni compresa quella psicanalitica, dove il fotografo Jeff-James Stewart è alle prese con i problemi di coppia cui cerca di sfuggire seguendo un giallo in gran parte immaginato. In ogni caso il fascino di queste cinquanta finestre, in parte pubblicate negli ultimi anni sul New York Times e The Paris Review e in parte inedite, risiede proprio in questo misto di osservazione e riflessione intimista. Ciò non toglie che dietro ogni disegno ci sia un lungo studio delle linee e delle distanze cercando la giusta profondità, che spesso e volentieri sconfinano nella veduta paesaggistica. Nuova Delhi, Giacarta, Il Cairo, Mogadiscio, Skopje, Reykjavik, Porto Alegre, Alberta e non solo le solite grandi città globali sono le protagoniste del libro (si possono vedere sopra, da sinistra, le viste di: Xi Chuan a Pechino; Orhan Pamuk a Instambul; Maria Kodama a Buenos Aires; Joumana Haddad a Jounieh in Libano; Alaa Al Aswany al Cairo). Ad esempio la splendida vista sul Bosforo e il Corno d’oro di cui gode Orhan Pamuk non lo distrae dalla scrittura, anzi: vedere che là fuori c’è sempre un inafferrabile paesaggio pieno di vita incessante, «rassicurazione del fatto che uno scrittore ha bisogno di continuare a scrivere e un lettore di continuare a leggere».