Le finestre sul mondo

Maggio 2024
di Matteo Pericoli

Ricordo ancora nitidamente la sensazione di smarrimento che provai quando, ormai vent’anni fa, mi trovai di fronte alla mia finestra sull’Upper West Side di Manhattan per quella che sarebbe stata una delle ultime volte nella mia vita. Avevo vissuto in quell’appartamento con mia moglie per sette anni ed era arrivato il momento di traslocare. Con gli scatoloni ormai pronti, ecco improvvisamente davanti a me un’altra ‘cosa’ che ci stavamo quasi dimenticando di portare via con noi: la finestra della nostra-camera-da-letto-mio-studio e, incollata ad essa, la vista di una serie di cortili, tetti, comignoli, torri dell’acqua e, in fondo, la punta di Riverside Church che mi avevano fatto compagnia per così tanto tempo.
Pensai di smontare la finestra dal muro e portare con noi sia lei sia la vista. Impossibile. Controllai attentamente per vedere se si potesse scollare dalla finestra un’ipotetica patina di plastica trasparente che avesse miracolosamente trattenuto le immagini sia dell’infisso sia della vista. Impossibile. Provai allora a fotografare il tutto, ma ciò che andavo cercando si rivelò molto più sfuggente di quanto pensassi: le foto sembravano infatti mostrare o il serramento o il paesaggio urbano al di là della finestra e non entrambi. Il problema poteva essere la mia macchina fotografica, oppure la mia mano, oppure più semplicemente la mia inesperienza con la fotografia.
Decisi così di prendere un grosso rotolo di carta da pacchi e disegnarci sopra, in fretta e furia, la finestra quasi in scala 1:1. Fu così che, con mia enorme sorpresa, notai la grande quantità di dettagli che mi erano sfuggiti. «Ma come è possibile?» mi domandai, «questo è il paesaggio urbano di Manhattan che mi è più familiare di ogni altro. Sono stato seduto di fianco a questa finestra per sette anni, mi sono voltato per guardare fuori un numero smisurato di ore e solo adesso noto tutti questi dettagli.» Decisi allora di esplorare più a fondo, usando il disegno, lo strano rapporto di interdipendenza che abbiamo con questo oggetto-non-oggetto architettonico. Spesso si tratta di un forte legame, quasi affetto, a volte c’è invece distacco o addirittura fastidio.
Chiesi a una moltitudine di persone di mostrarmi le loro finestre, di permettermi di disegnarle, di raccontarmele e dirmi della relazione che avevano con questo buco nel muro. Capii che per soddisfare l’irresistibile desiderio che avevo di raccontare la città dove vivevo allora, New York, avrei dovuto osservarla dallo sguardo più intimo di tutti: quello di chi la guarda (attivamente o passivamente) dalla propria finestra. Da allora disegno finestre. Ne ho designate centinaia. Finestre che si affacciano su città, finestre che si affacciano sulla natura, sul mare, su prati, su boschi.
Finestre che ci mostrano il presente, che si affacciano verso il passato, quel passato che, con le sue concatenazioni, ci ha portati in quel preciso punto nel tempo e nello spazio. Sebbene i disegni mostrino sempre lo stesso soggetto — il tangibile (l’infisso) che inquadra l’intangibile (la vista) — la mia attenzione si è andata via via spostando dal fuori al dentro, da ciò che è visto al come e al perché vediamo.
Disegno dopo disegno, il vetro si è trasformato pian piano in uno specchio nel quale, a ogni sguardo, finiamo per vederci riflessi noi e i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre speranze; il passato che si mescola al presente. Tra tutti gli elementi costruttivi, costitutivi e compositivi in architettura, la finestra è indubbiamente quello con il più grande potenziale narrativo.
