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Il venerdì di Repubblica
17 febbraio 2023
di Arianna Passeri

Molto spesso, durante la lettura, si incontrano espressioni del tipo «lo spazio della narrazione», «le fondamenta di una storia». O magari di un libro la cui «trama non sta in piedi». Quelle che sembrano semplici locuzioni metaforiche sono da intendersi, in realtà, come spie rivelatrici di un legame a doppio filo tra il mondo della progettazione e quello della letteratura.
L’architetto e autore Matteo Pericoli parte da questo assunto per ideare un interessante esercizio creativo: «Se l’architettura di un romanzo fosse davvero un edificio — cioè avesse una struttura fisica, non fatta soltanto di parole — che forma avrebbe?».
Ecco allora che Cuore di tenebra diviene una piramide tronca rovesciata, il cui vertice è a metri di profondità nel terreno, e L’amica geniale si sdoppia in due palazzi che si sostengono e respingono a vicenda.
E diversi ancora sono gli esempi. Quasi per magia, anche il lettore può così “visitare” Il grande museo vivente dell’immaginazione (Il Saggiatore, 166 pagine, 25 euro), e scoprire i segreti dietro la costruzione di un testo (e di un edificio).

Il libro di Matteo Pericoli nasce dal suo “Laboratorio di architettura letteraria”
Da Dostoevskij a Ferrante, il disegno diventa una forma di lettura alternativa

di Mario Baudino

Concepire e disegnare case e palazzi partendo dalla grande letteratura non è un solo gioco, anche se magari lo abbiamo pure fatto, qualche volta, fantasticando su un romanzo o su un racconto: forse però non siamo mai andati oltre su questa strada interpretativa, non lo abbiamo concretizzato. Matteo Pericoli, invece, lavora su questa intuizione ormai da anni. Era partito con un’idea mutuata da Alice Munro, la scrittrice canadese molto ammirata per i suoi racconti, che aveva descritto una volta le ́«storie» non come strade, e cioè non come narrazioni vettoriali, percorsi unidimensionali con un inizio e una fine, ma come ́«case», del tutto tridimensionali – e da abitare, ed è arrivato ora a costruire un libro di testi e architetture fantastiche, Il grande museo vivente dell’immaginazione (Il Saggiatore) libro elegantissimo che riassume idealmente un lungo lavoro di laboratori un po’ in tutto il mondo (e cominciato alla Scuola Holden di Torino) e presenta una vasta scelta di risultati: le storie trasformate in edifici, la lettura come modalità dell’abitare.


Trasfigurazioni che narrano il loro rapporto con il mondo come personaggi vivi


Molti lettori appassionati sanno di aver avuto spesso l’esperienza di «cadere» in un libro, e di cambiare dimensione. Gli scrittori, altrettanto spesso, li invitano proprio a questa dislocazione spazio-temporale, quando le architetture urbane narrano il loro rapporto col mondo come fossero personaggi. Gli esempi sono innumerevoli, alcuni memorabili come l’incipit di Ferragus, il primo racconto di Storia dei tredici, dove Balzac dà la parola alle strade parigine, quelle disonorate o nobili, assassine o «più vecchie di certe vecchissime dame», rispettabili, pulite o sempre sporche, operaie, lavoratrici, mercantili; perché «le vie di Parigi hanno qualità umane, e con la loro fisionomia imprimono in noi certe idee cui ci è difficile sottrarci». Non è il solo, naturalmente. Qualcosa del genere accade in Dickens (leggersi magari Casa desolata, dove una diruta e malfamatissima strada di Londra si comporta come un essere umano).

Matteo Pericoli è andato più in là, ovvero ha deciso invece di far parlare le opere di letteratura come fossero nel loro insieme architetture, puntando non, come dice nella prefazione del suo libro, «a quell’istinto naturale che abbiamo di immaginare o visualizzare le ambientazioni descritte nel romanzo, ma a quella netta impressione di sentirsi immersi in una specie di costruzione che ha un suo funzionamento e una sua struttura». Disegni, plastici, edifici fantastici, come le città di Calvino, sono a loro volta inseriti in una sovra-architettura, quella appunto del «museo-libro» («Questo non è un libro come gli altri – scrive –. È un edificio») che li ospita: senza tentazioni di «realismo» o piatta verisimiglianza. Se prendiamo Cuore di tenebra, il magnifico racconto conradiano, non è certo trasformato o descritto come una capanna nella foresta: l’edificio in cui si trasforma è invece una piramide rovesciata fino a molti metri sotto il suolo. Così per i dodici autori su cui Pericoli ha lavorato: non se ne organizzano presepi, ma trasfigurazioni simboliche.

“Cuore di tenebra» di Joseph Conrad diventa una piramide rovesciata conficcata nel suolo (dal libro di Pericoli)”
“Cuore di tenebra” di Joseph Conrad diventa una piramide rovesciata conficcata nel suolo (dal libro di Pericoli)

Elena Ferrante (L’amica geniale) si sdoppia in due edifici che forse si sostengono a vicenda (e questa rappresentazione, tutto sommato, è forse la più ovvia), Le notti bianche di Dostevskij divengono un grattacielo inclinato sopra una sorta di labirintica scacchiera, La malora di Beppe Fenoglio è una casa tutta radici, un edificio che cresce ́«sotto terra», Il barone rampante di Italo Calvino è qualcosa che contiene il senso di una distanza incolmabile, una casa con un’intercapedine visibile solo dall’alto (perché come dice il padre di Cosimo Piovasco, «la ribellione non si misura a metri»). Ci sono anche, rigenerati e dislocati con il lavoro di costruzione spaziale, Annie Ernaux, William Faulkner, Junichirο Tanizaki, Kurt Vonnegut, Friedrich Dürrenmatt, Emmanuel Carrère, Juan José Saer, a testimonianza che il procedimento può funzionare su qualunque racconto, su qualunque «storia» – con un occhio all’altra storia, quella dell’architettura, e un altro verso il paradigma possibile dell’«architettare».


“Abbiamo l’istinto naturale di immaginare e visualizzare”


«Queste strutture che incontrerete – scrive Pericoli – prenderanno la forma che vorrete voi… ovvero quella basata sulle vostre reazioni, intuizioni e idee. Ognuna diversa per ognuno di voi, un multiverso di forme». Il risultato è un percorso di lettura molto stimolante – perché poi il museo dell’immaginazione di Pericoli è sì un «museo» ma intanto è un libro, non un catalogo ma una storia delle storie, soprattutto se si pensa all’uso talvolta disinvolto e ideologico che si tende a fare nel discorso pubblico dei classici di oggi e di ieri: pessima abitudine perché il rischio diventa allora quello di farne non costruzioni libere e fantastiche, ma tristi e noiosissime prigioni. —

Da undici anni Matteo Pericoli insegna a studenti di tutto il mondo come analizzare la struttura narrativa di una storia e trasformarla con creatività e immaginazione in un edificio. Da questa esperienza è nato “Il grande museo vivente dell’immaginazione” (il Saggiatore), scritto a sua volta come se fosse un museo da esplorare, con tanto di mappa e bookshop

Dickow, Niddam, Porat, Topaz su un racconto di Yonathan Raz Portugali Hebrew University of Jerusalem

Per Ennio Flaiano i grandi libri non sono quelli che sfogliamo con disattenzione, che consumiamo per invidia o emulazione, che finiamo in fretta, con rabbia, per stare al passo con la moda letteraria del momento; ma quelli che rileggiamo così tante volte da abitarli, sentendoli addosso come certi angoli di casa nostra. Li teniamo sul comodino, in borsa o in uno scaffale preciso della libreria per rifugiarci quando ne abbiamo più bisogno. Per cercare risposte a domande che la vita ci pone distrattamente. Alcuni libri hanno la forma di una tenda, altri di un attico, altri ancora di una casa in collina.

Ci voleva però la poliedricità di un architetto, illustratore, docente e scrittore per scoprire come analizzare l’architettura di una storia e trasformarla con creatività e immaginazione in un edificio. Da undici anni Matteo Pericoli guida studenti in tutto il mondo (Stati Uniti, Italia, Israele, Svizzera, Taiwan ed Emirati Arabi Uniti) in un gioco che ormai è diventato un sorprendente esperimento dove non esistono errori, perché non c’è un dogma da seguire: il Laboratorio di Architettura Letteraria. Questo lavoro pluriennale è diventato un libro: “Il grande museo vivente dell’immaginazione” (il Saggiatore), scritto a sua volta come se fosse un museo da esplorare, con tanto di mappa e bookshop.

In questa guida generosa e attenta a seguire il passo del lettore, Pericoli svela i segreti per aprirsi al misterioso ma continuo legame tra fantasia e costruzione. E così Cuore di Tenebra di Joseph Conrad diventa una slanciata piramide inversa il cui vertice si trova a decine di metri sottoterra; L’amica geniale di Elena Ferrante si trasforma in due palazzi che si sostengono e respingono a vicenda. E via costruendo. Questo cantiere culturale non si esaurisce nel libro, ma si espande in un sito bilingue in costante aggiornamento.

«Undici anni fa una fiammella si è accesa in me, innescando una miccia i cui effetti non avevo previsto. Ero appena tornato dagli Stati Uniti e quando mi fu proposto di fare un workshop nella Scuola Holden, all’epoca un piccolo spazio in via Dante a Torino, decisi di approfondire un concetto che mi frullava in testa. Perché si dice che una storia ha una struttura, ha delle fondamenta oppure “non sta in piedi”? Ma mi sono accorto che parlando con gli studenti delle strutture narrative le parole non bastavano. C’era una quantità d’informazioni che mancava. Allora chiesi a loro: “Perché non me lo fate vedere usando cartone, forbici e colla?”. Questa banale domanda mi ha portato a fare una scoperta sorprendente».

Quale?
Tutti noi abbiamo un gigantesco lago sotterraneo di conoscenze inesplorate. Un calderone di energia creativa dato dalla lettura a cui non riusciamo spesso ad accedere perché se andiamo a ricercarlo con le parole ripeschiamo solo gli stessi concetti che avevamo elaborato in passato copiando pensieri altrui. Invece di continuare a usare le parole per spiegare qualche cosa che era fatto di parole, proviamo a dare una forma tangibile ai nostri pensieri sul libro. Così facendo ho notato che le conoscenze si decuplicano. E vale per tutti. Dai liceali che seguono i miei corsi a chi non ha letto tanti libri o non conosce bene l’architettura. Questo fenomeno si ripete a ogni laboratorio. 

Fermiamoci un momento all’ingresso di questo libro-museo in cui inviti il lettore a lasciare nel guardaroba i bagagli ingombranti che impediscono di capire meglio i legami tra storie e architettura. Quali sono gli ostacoli più difficili da abbandonare?
Per esempio pensare che la relazione tra architettura e letteratura sia un insormontabile sforzo intellettuale; non sentirsi all’altezza e dimostrare forzatamente di essere intelligente e preparato prima di leggere un libro. Ma soprattutto lo scetticismo; lo stesso che incontro all’inizio quando propongo questo gioco. Al primo incontro del laboratorio vedo alcune facce sgomente, terrorizzate. Poi il secondo e il terzo giorno vengo travolto da un entusiasmo pazzesco di chi capisce quanto sia bello trovarsi dall’altra parte.

Dall’altra parte rispetto a cosa?
Rispetto ai preconcetti. Al di là delle nostre conoscenze pregresse sullo stile, la narrativa, le etichette che diamo ai libri. Le storie non sono strade puntuali da percorre in base alle indicazioni date da altri, ma edifici da esplorare in libertà, immergendosi in uno spazio letterario. Ovviamente questo spazio è costruito da qualcun altro, lo scrittore, ma alla fine le costruzioni le facciamo quasi totalmente noi, nella nostra mente. La speranza è che una volta iniziato il libro-museo il lettore dica: sai cosa? Questi bagagli ingombranti li lascio lì ed esco più leggero di quando sono entrato. 

Allora entriamo leggeri e facciamo un esempio di costruzione architettonica derivata da una struttura narrativa.
Durante un laboratorio mi ha colpito il modo differente in cui può essere visto il racconto di Ernest Hemingway “Colline come elefanti bianchi”. Per gli architetti il rapporto affettivo tra i due personaggi era squadrato, come un parallelepipedo, mentre per dei ragazzi liceali si trattava di un’opera cilindrica, forse più idealizzata. Queste risposte ti riempiono la mente e il corpo di una sensazione positiva, perché con un testo non sarebbero riusciti ad approfondire così il rapporto tra i due protagonisti. Lo stesso mi è capitato con lo straordinario racconto di Amy Hempel intitolato “Il raccolto”. In undici anni di Laboratorio di Architettura Letteraria non ci sono mai stati due edifici somiglianti. Il punto è che i nostri pensieri  hanno una forma e una sensazione pre verbalizzata, diversa per ognuno, che spesso ignoriamo, saltando subito al passaggio successivo per alimentare il nostro monologo interiore. Il laboratorio esalta ciò che le parole scritte sgonfiano. Ci sono risultati continui perché questo processo è qualcosa di estremamente naturale che viene fuori solo se ci si rilassa.

Questo approccio innovativo potrebbe essere usato nelle scuole per avvicinare i giovani, ma anche i meno giovani, alla lettura?
Certamente. Rendersi conto che la lettura è equiparabile a un’esplorazione di un luogo la cui forma definitiva è incastrata nelle nostre sinapsi potrebbe essere una spinta ad affrontare le storie in una maniera diversa. Ovvero non cercando di replicare quello che altri hanno precedentemente detto o pensato su quel libro. Siccome un’opera ci è stata presentata come bella, brutta, semplice o complessa non dobbiamo cercare nel testo una sensazione che altri hanno già trovato. Sappiamo molto di più di quanto pensiamo di sapere. Andando a ritroso alla fonte delle idee che hanno un peso e una forma, tutti possiamo trovare i nostri spazi, costruendo, decostruendo, abbattendo e ricominciando. E gli errori non esistono più, non ci sono insegnanti e studenti.

Nel libro approfondisci due concetti importanti che accomunano letteratura e architettura: il vuoto e il contesto.
L’architettura è la compagna costante dell’intera esistenza. Passiamo la nostra vita attraversando, trapassando architetture e spazi uno dopo l’altro. Per capirli parliamo di stili e forme, ma trascuriamo spesso l’effetto più potente dell’architettura: ciò che non c’è. Le nostre stanze sono circondate da pareti ma noi viviamo e lavoriamo all’interno dell’unico spazio che non è stato costruito. E così anche nelle storie diamo tanta rilevanza alle pagine, ai paragrafi, alle frasi e alle parole, trascurando quanto sia importante lo spazio all’interno di una storia. Un elemento ineffabile che noi dobbiamo ricostruire nella nostra mente. E come lo facciamo dipende necessariamente dal contesto. Non solo quello all’interno del quale fuoriesce il libro o l’edificio, ma anche il mio contesto: tutto quello che ho imparato, sentito, creduto finora; le mie aspettative e le mie idee che mi fanno approcciare sempre in modo diverso alla storia o allo spazio in base alla mia condizione esistenziale di quel momento. Concentrandosi ogni volta su dettagli e spazi diversi.

Ha parlato di quanta architettura c’è nella letteratura, ma quanta letteratura c’è nell’architettura?
L’architettura è impregnata di narrativa. Ogni scelta compositiva di chi ha progettato gli spazi che viviamo (dalla sequenza dei volumi ai loro collegamenti, da ciò che viene rivelato a ciò che viene celato, dall’impatto della luce al mistero dell’oscurità, e così via) è in realtà una scelta narrativa, alcune volte fatta consapevolmente altre no. L’architettura poi determina la narrazione della nostra giornata. Pensa al momento in cui attraversi la soglia ed esci di casa la mattina: nella tua testa pensi che stia iniziando qualcosa di nuovo ma quel qualcosa in realtà non esiste perché fuori dalla porta nulla è iniziato e nulla è terminato, tutto è sempre esistito. L’architettura è il nostro escamotage per inscatolare la narrazione quotidiana: aprire la finestra per cambiare l’aria la mattina, uscire di casa, ritornare a casa, salire le scale, scendere le scale Questa interazione con l’architettura è inconscia ma profondamente narrativa e determina come incaselliamo il racconto della nostra vita. Ogni nostro movimento è una lettura dello spazio e senza saperlo siamo già in grado di capire la concatenazione delle narrazioni dell’architettura che ci circonda. Perché usciti da un edificio andiamo a destra invece che a sinistra? 

E conoscendo istintivamente gli spazi architettonici siamo in grado di analizzare le strutture narrative?
Sì, ognuno a modo suo dà significato a elementi diversi privilegiando uno rispetto all’altro. La porta ha un potenziale narrativo chiaro, ma per qualcuno può essere importante l’altezza di un soffitto La finestra messa nel posto giusto per qualcuno è una rivelazione. Ma se lo trasmetti a un altro bisogno narrativo non funziona per niente.  Immagina la prima volta che in un edificio architettonico di qualsiasi tipo, primordiale o non, qualcuno con un martello o una mazza ha buttato giù un pezzo di muro e ha visto il mondo fuori senza poterlo oltrepassare. Chissà, forse ogni elemento architettonico ha il suo corrispettivo letterario, in fondo è cosi che nascono le storie.

Castelli di carta | Guida all’architettura letteraria per esplorare in modo innovativo i libri (e sé stessi)

di Andrea Fioravanti, pubblicato su Linkiesta il 26 novembre 2022:
https://www.linkiesta.it/2022/11/museo-vivente-immaginazione-pericoli-saggiatore/