La Stampa Torino, 20 marzo 2023
L’artista è tra i protagonisti dell’Hypercritic Poethon alla Scuola Holden
di Diego Molino
«Torino è inconsapevolmente bella. Non sa di esserlo ma questa è la sua forza». È così che definisce la città Matteo Pericoli, architetto, disegnatore, insegnante e autore. Sarà fra gli ospiti che per una settimana, da domani al 27 marzo, parteciperà alla maratona di poesie Hypercritic Poethon (ci saranno anche Margherita Oggero, Enrica Baricco, Serena Dandini, Igiaba Scego, Martino Gozzi, Ilaria Gaspari, Maurizio Gancitano, gipeto, Guido Catalano, Andrea Tarabbia, Alessandro Burbank, Yoko Yamada, Sara Benedetti, Andrea Tomaselli, Daniele De Cicco, Giorgia Cerruti, Silvia Cannarsa, Luca Gamberini, Emiliano Poddi). Un viaggio che trarrà ispirazione dai luoghi in cui verranno letti i componimenti di diversi autori: musei, giardini, case di ringhiera e vecchi tram, grazie alla collaborazione con Gtt e Associazione Torinese Tram Storici. Tutti appuntamenti a ingresso libero fino a esaurimento posti, per cui si consiglia la prenotazione su Eventbrite nella sezione dedicata all’evento. Pericoli è protagonista venerdì alle 18,45 alla Scuola Holden con L’architettura della poesia.
Cosa hanno in comune architettura e poesia?
«La poesia non è altro che manifattura e per saperlo basta guardare alla sua etimologia, poièo in greco antico significa fare, creare, costruire. La poesia è l’atto più forte e costruttivo che esista, vuol dire mettere le parole in una sequenza, una dopo l’altra. L’architettura a sua volta è modellazione dello spazio, ha a che fare con relazioni, spazi, vuoti e ombre, tutte cose in comune con la poesia».
Quindi si può dire che siano la stessa cosa?
«Esiste una zona in cui tutte le decisioni, le idee compositive non prendono ancora la forma di una disciplina specifica. È il potenziale creativo a cui appartengono architettura, poesia, musica e scrittura. Solo successivamente ciascuno può dare a queste idee e intuizioni una forma ben definita».
Parliamo dell’architettura delle città. Come è possibile scovarne l’anima poetica?
«All’inizio pensavo che le città fossero agglomerati di edifici costruiti molto vicini gli uni agli altri, e che questo fosse esclusivamente per una ragione di utilità. La poesia la trovai per la prima volta vivendo a New York, è stato un po’ come quando ci si innamora di una persona, succede ma non riesci a spiegare perché».
A Torino ha trovato la poesia che andava cercando?
«Quando arrivai a Torino trovai un’inaspettata e incredibile energia e spirito. In un certo senso il luogo più simile a New York è Porta Palazzo: si trova nel centro della città, vicino a edifici istituzionali importanti e aulici, eppure c’è una mescolanza di vita estremamente vera, intensa e questo mi rassicura. Porta Palazzo è uno di quei luoghi che esistono senza avere il bisogno di raccontarsi, perché comunicano tanto già così come sono, proprio come New York».
E qual è il suo segreto?
«Non essere consapevole di se stessa, questo è l’unico modo in cui si manifesta la poesia, altrimenti si perderebbe. Viene detto anche nel film Il postino quando Mario (Massimo Troisi) e Pablo Neruda (Philippe Noiret) sono seduti in riva al mare e Mario gli ha appena detto di essersi sentito “come una barca sbattuta dalle vostre parole”. Neruda dice a Mario che così ha appena creato una metafora. “No!” risponde Mario arrossendo, “Ma veramente?”. E poi aggiunge: “Vabbè, però non vale perché non la volevo fare”. “Volere non è importante” gli dice Neruda, “le immagini nascono casuali”. Ecco cosa vuol dire essere inconsapevoli».
Ci sono altri luoghi che le ispirano lo stesso sentimento a Torino?
«Le passeggiate lungo il Po nascondono un’idea della città inusuale, sembra di essere in campagna ma sei in pieno centro. È una fetta di natura che si insinua dentro la città, questo è molto poetico, permette strane intersezioni nella testa. A Torino spesso la poesia è nascosta dentro cose che non ti aspetti di trovare in una città medio-grande».
Le trasformazioni urbane rischiano di far perdere quella poesia?
«È sbagliato pensare che una città debba essere sempre la stessa, è come dire che un bambino non deve crescere mai. La poesia sta nel saper guardare e indirizzare quella crescita, del resto le città sono organismi viventi.»