La Stampa, Società & Cultura, 7 novembre 2014
Raccolti in volume gli scorci che cinquanta autori vedono dal loro studio
di Mario Baudino
Che cosa vediamo dalla nostra finestra? La risposta di Matteo Pericoli è che spesso vediamo noi stessi. La finestra può essere uno specchio, che soltanto in certe occasioni, magari quando stiamo abbandonandola per sempre, rivela tutta la sua meraviglia, che nella quotidianità ci era sfuggita. Non basta guardarla. Bisogna capirla. Magari con un piccolo aiuto esterno. Pericoli ha disegnato inseguendo il filo di questa convinzione molte finestre di scrittori, cominciando per il New York Times e proseguendo con la Paris Review.
Ha disegnato finestre americane e torinesi (per La Stampa), ha alternato il microcosmo del paesaggio psichico al macrocosmo dei suoi sterminati profili di città, rulli panottici che abbracciano ancora una volta New York, Torino, Londra trasformando col suo tratto continuo, preciso e sottile, la quotidianità in eccezionalità, mettendo a fuoco il senso profondo che vi si cela, la meraviglia, la sorpresa, il viaggio. Ora propone, in un libro appena uscito negli Stati Uniti da Penguin che sarà presentato domani a Torino, Windows of the World, 50 finestre di scrittori sparse per l’intero pianeta, da Città del Messico a Sidney, da Nadine Gordimer a Orhan Pamuk, da Etgar Keret a quella romana di Taiye Selasi.
Si aprono su giardini, piazze, fitti agglomerati urbani, tetti o cortili disadorni, mari e foreste; sono accompagnate da una pagina di commento di ciascun autore, e ci raccontano più che un paesaggio un’interazione. E’ stato un lungo lavoro, un giro del mondo, come dice Pericoli, «virtuale». Per farlo, si è affidato esclusivamente allo sguardo degli altri: ha lavorato, soprattutto da Torino, su una gran quantità di fotografie che gli venivano inviate e, spiega, «ho ricostruito le viste come se fossi lì».
La finestra è qualcosa di ineludibile, anche se fra i 50 non tutti ne erano convinti. Qualcuno, come Nadine Gordimer, ha chiesto di partecipare dopo l’inizio della serie sul New York Times. Nel commento alla propria finestra nega il principio che lo scrittore abbia bisogno di una «veduta», perché è immerso nelle storie (e quindi nelle vedute) delle persone e dei personaggi. La sua finestra, su una terrazza popolata di grandi piante in vaso dietro le quali l’orizzonte è chiuso d un basso fabbricato, è una conferma. L’israeliano Keret sembra dello stesso parere, perché quando scrive, dice, vede intorno a sé solo il paesaggio della sua storia. Lo fa dunque nel posto più scomodo del suo appartamento di Tel Aviv, «un posto che risulta sopportabile solo a una persona molto impegnata a scrivere». La finestra guarda su una sorta di veranda, piena di cose anzi di «felice disordine». Proprio come le sue storie, aggiunge. Pamuk invece ha uno strepitoso affaccio sul Bosforo. Lo distrae? Neanche per sogno, anzi una parte di lui «è sempre impegnata con una parte del paesaggio» e con il suo instancabile movimento. Non c’è scrittore senza finestra, sia che l’accetti sia che la rifiuti.
In realtà, questa la convinzione di Matteo Pericoli, non c’è essere umano senza finestra, anche quando non lo sa. Ha ideato così, per stamattina, un laboratorio destinato ai bambini di terza elementare. Farà disegnare le finestre di casa loro, perché, spiega, «sono gli osservatori passivi di paesaggi che non hanno scelto ma in cui si sono trovati: un punto di vista ideale per raccontare la città». Ma il percorso tra mondo e città ha ancora una tappa, per l’anno prossimo, cui Pericoli sta lavorando col Comune di Torino: una mostra con gli oltre 70 metri di «skylines» disegnati finora e centinaia di disegni, finestre torinesi, finestre di tutti i Paesi. Per far rimbalzare «nella città che mi ha accolto», una domanda sempre più urgente: «con quanto poco si può dire il massimo?»